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Internet of Things, Internet of Everything o… semplicemente l’inizio della vita “interconnessa”

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Oggetti “interconnessi” che possono comunicare tra loro senza alcuna necessità di intervento da parte dell’uomo: il letto dialoga con le tapparelle e la macchinetta del caffè – con un semplice gesto, la discesa dal letto, le tapparelle si alzano e il fuoco si accende! Tutto questo non fa più parte di uno scenario futuristico ma di quella che potremmo definire una reale e concreta “smart home”. Ma non solo, oggetti che comunicano in modo seamless con le persone. E ci comunicano a tal punto che internet è destinata a… sparire semplicemente per essere ricompresa nel tutto. Lì stiamo andando e lì finiremo, e nel cammino tante cose, tante abitudini ma soprattutto tanti modelli di business, organizzativi e di consumo cambieranno in modo epocale.

Già molti oggetti nati per dialogare con la Rete esistono e sono sul mercato: praticamente tutto ciò che di consumer è connesso ad una rete elettrica è ormai collegabile anche a Internet, e da qui ad altri oggetti con cui costruire routine e configurazioni di utilizzo sempre più sofisticate, personalizzate e in autoapprendimento rispetto al contesto in cui esistono. Questa è la nuova mecca degli investimenti da parte di big names della tecnologia come Apple, Microsoft, Google e Qualcomm.

Ma l’IoT non è solo un vezzo per aumentare la lista, quasi infinita, delle nostre comodità. Quando, ad esempio, ad investire nell’Internet delle Cose è la startup Cyrcadia Health, che ha sviluppato un sistema per identificare, tramite un dispositivo wearable, le cellule tumorali del seno, la portata rivoluzionaria degli oggetti connessi diventa lampante. Anche Doug Oberhelman, CEO dell’azienda statunitenseCaterpillar Inc., storica produttrice di veicoli pesanti, giustifica così il suo interesse nello sviluppo della tecnologia IoT: “Abbiamo poco più di 3 milioni di macchine in funzione in qualche parte del mondo ogni giorno. Quello che ancora non abbiamo è che tutte queste macchine siano connesse in un sistema in grado di prevenire i guasti“.

Non si tratta solo di funzionalità e benessere: quello dell’Internet of Things è un ecosistema tanto affascinante quanto profittevole, e gli studi in merito si sono moltiplicati negli ultimi anni: La ricerca pubblicata a giugno dalla International data Corporation (IDC) evidenzia che nel 2014 questo mercato ha generato un fatturato di 655.8 miliardi di dollari, ed entro il 2020 la cifra crescerà fino a 1.7 mila miliardi. Le stime però sono ancora molto indefinite, si pensi che secondo il rapporto realizzato dal McKinsey Global Institute entro il 2025 il potenziale impatto economico di questo settore sarà addiritturacompreso fra i 4 mila e gli 11 mila miliardi di dollari. In una intervista a Fortune, Raj Talluri – vice presidente del settore product management della Qualcomm – afferma che “nessuno ha ancora capito quanto questo mercato diventerà grande, perché le possibilità sono davvero infinite.

Lo scenario dell’IoT è del tutto nuovo ed è per questo che in molti evidenziano come si debbano ancora definirne i confini e individuare eventuali criticità, ad esempio la gestione coordinata dei dispositivi. Basti pensare che ogni casa produttrice sta sviluppando i propri oggetti “connessi” in maniera autonoma, perciò è necessario capire come far comunicare il frigorifero Samsung, la lavatrice Whirlpool, il termostato Nest, la lavastoviglie Sears e il sistema di sicurezza ADT: in questo senso, e grazie di nuovo alle leve del venture capital, sono nati i primi layer intermedi, come IFTTT (if this then that), attraverso cui qualsiasi utente finale può coordinare e collegare un gran numero di dispositivi connessi e consumer.

Forse un tema ancora da risolvere davvero è quello riguardante la privacy. Infatti, l’IoT è prima di tutto una rete di informazioni: per funzionare i dispositivi devono sapere tutto o quasi della nostre abitudini, dagli spostamenti quotidiani alle medicine che prendiamo. Inoltre, alcuni analisti sostengono che il vasto pubblico non sia poi così interessato ad avere oggetti interconnessi.

Altro aspetto da non sottovalutare, e se vogliamo qui in Italia questo vale doppio, è relativo alla disponibilità di banda. Questo tipo di Internet è infatti esponenziale in termini di consumo di banda, la cui capacità è alla base della stessa possibilità di dialogare in modo efficace tra gli oggetti e le persone connesse. Entrare in casa e trovare il riscaldamento spento, la televisione disattivata e il congelatore staccato perché la nostra rete non è riuscita a sostenere tutti gli scambi di dati necessari sarebbe quantomeno sgradevole… Ma questa è una storia vecchia: vale anche per l’internet che già conosciamo, quindi non ci resta che sperare che in Italia il problema sia affrontato con il rilievo che merita.

In ogni caso, le grandi realtà del settore sembrano ottimiste e stanno cercando di aggiudicarsi una fetta della torta, e in tempi brevi, perché secondo Gartner il 50% delle soluzioni interconnesse per le aziende arriveranno sul mercato entro la fine del 2017 grazie a start-up non più vecchie di tre anni. La ricerca di Tata Consultancy Services ha rilevato che 26 tra le più importanti aziende di tutto il mondo, di cui 14 negli Stati Uniti, prevedono di spendere entro la fine dell’anno almeno 1 miliardo di dollari nel settore IoTSamsung, per esempio, ha acquistato Smart Things, un’azienda che sviluppa soluzioni per la casa intelligente, e ha annunciato che entro il 2020 tutti i suoi prodotti, dai telefoni ai frigoriferi, saranno interconnessi. Google sta lavorando a Brillo, un sistema operativo che i realizzatori di dispositivi IoTpossono utilizzare sui propri smart objects, oltre ad aver acquistato per 3,2 miliardi di dollari Nest Labs, la startup che produce termostati intelligenti. Anche Facebook sta investendo sulla propria piattaforma software, Parse, che permette lo sviluppo di applicazioni per la domotica e l’Internet of ThingsApple ha da alcuni mesi rilasciato HomeKit, piattaforma che consente agli oggetti intelligenti di dialogare con IPhone e IPad. Intel Qualcomm hanno creato dei chip in grado di donare un’intelligenza informatica a qualsiasi oggetto inanimato, e persino Netflix ha lanciato il suo aggeggio smart – un prototipo di dispositivo all-in-one in grado di accendere il televisore, accedere a Netflix, abbassare le luci e anche ordinare la cena con la semplice pressione di un tasto. Ma la stessa nostra Enel grazie ai suoi smart meter è oggi l’utility con il maggior numero – oltre 60 milioni – di apparati connessi e attivi.

Tanti progetti che dimostrano ancora una volta come, tra tutti i trend legati al mondo della tecnologia, il più influente sia l’Internet of Things, che sta diventando sempre più pervasivo, uscendo dal settore digital per conquistare potenzialmente ogni altra porzione del mercato. Di certo, questo fenomeno è quello che nel corso dei prossimi anni offrirà le opportunità di disruption più significative.


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P101 è un fondo di venture capital specializzato in investimenti in società digital e technology driven. Nato nel 2013, con una dotazione corrente di oltre 40 milioni di euro e 18 società in portafoglio, P101 si distingue per la capacità di mettere a disposizione degli imprenditori di nuova generazione, oltre a risorse economiche, anche competenze e servizi necessari a dare impulso alla crescita delle aziende. Il fondo, promosso da Andrea Di Camillo – 15 anni di esperienza nel venture capital e tra i fondatori di Banzai e Vitaminic – e partecipato da Azimut, Fondo Italiano di Investimento e numerosi investitori privati, collabora con i maggiori acceleratori privati, tra cui HFarm, Nana Bianca, Boox e Club Italia Investimenti. Tra le partecipate: ContactLab, Cortilia, Tannico, Musement e MusixMatch. Le società partecipate da P101 occupano oggi complessivamente oltre 350 risorse e generano un fatturato in costante crescita e già oggi superiore ai 40M annui. P101 prende il nome dal primo personal computer prodotto da Olivetti, negli anni ’60, esempio di innovazione italiana che ha lasciato il segno nella storia della tecnologia digitale.

 

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